sabato 26 febbraio 2011

IL CALCIO MARCIO: "NEL FANGO DEL DIO PALLONE"

«Che importanza poteva avere se mi ero "aiutato" con qualche puntura? Avevo solo ubbidito a quello che mi era stato detto di fare, e comunque non avevo fatto niente di male a nessuno. Era stata solo una furbizia in un mondo che vedevo pieno di trucchi, in campo e fuori. Non mi sentivo più colpevole dei miei colleghi che ogni domenica per imbrogliare l'arbitro si buttavano per terra in area facendo finta di avere subìto un fallo da rigore e lo ottenevano o che segnavano gol di mano senza farsi vedere dall'arbitro, o che fingevano di essersi infortunati per non giocare "certe"  partite, o che combinavano i pareggi...E poi per quello che ne sapevo io, il doping non lo aveva certo inventato il Genoa: quante altre squadre l'avevano fatto, lo facevano e lo avrebbero fatto in seguito?»
(Estratto di "Nel fango del dio pallone", di Carlo Petrini)


Carlo Petrini è un ex giocatore di calcio. Ha giocato in molte squadre di Serie A ed a cavallo fra gli anni '60 e '70 raggiunse anche una discreta notorietà sportiva. Ma non è per i suoi gol e per le sue doti di attaccante che resterà famoso. Petrini è l'icona del calcio malato, dello sporco sotto al tappeto. Nel corso della sua carriera è stato coinvolto in tutti i più grandi scandali calcistici dell'epoca e, nel suo libro,"Nel fango del dio pallone", ce li racconta uno per uno. Anzi, fa molto di più. L'ex calciatore toscano ci introduce in un mondo torbido e amorale, in cui la superficialità del successo e dei falsi miti fa da padrone.
Carlo Petrini nasce a Monticiano, in provincia di Siena, il 29 marzo del 1948
Cresce nelle giovanili del Genoa e, dopo una parentesi al Lecce, qui vi ritorna. Il grande salto avviene nel 1968, quando approda al Milan di Nereo Rocco. Seguono poi l'esperienza al Torino (con cui vince una Coppa Italia nel '71), Varese, Catanzaro e Ternana. Nel 1975 approda alla Roma di Liedholm; milita infine nel Verona, nel Cesena e nel Bologna. 
La sua carriera finisce nel 1980 a Bologna a causa della squalifica di tre anni e sei mesi per il caso calcioscommesse. Ma quello fu solo il punto esclamativo di una carriera calcistica da sempre infangata da scandali e condotte deprecabili. Nel suo libro Petrini vuota il sacco, non si risparmia nell'esporre fatti e nel dare giudizi (con l'unica limitazione di non fare, spesso, i nomi), soprattutto quando deve parlare di se stesso («Adesso posso dire tutto perché non ho più niente, non mi è rimasto proprio niente»si considera una persona cinica e priva di qualsiasi scrupolo, più volte lo ripete nel libro, e forse la cosa che più colpisce è che non sembra provare dispiacere per ciò («il branco è spietato e io ne faccio parte»). Semplicemente è indifferente.
Indifferente fino all'estremo: anche di fronte all'appello del figlio diciannovenne, malato di tumore al cervello e in procinto di morire, di rivedere il padre.
Petrini, e la cronaca stessa, ci raccontano che questi lasciò morire il figlio senza rivederlo. Unico episodio del quale si pentirà, che, tutt'ora, rappresenta il rimpianto che non gli lascia tregua e che, nei fatti lo ha spinto a confessarsi completamente. Dicevamo che Petrini ci racconta di un mondo fatto di ipocrisie, superficialità, in cui l'unica preoccupazione di un giocatore è il successo, la macchina nuova e i soldi, sempre loro. Le orge in ritiro, i tradimenti, il sesso in ogni sua forma rappresentano un rituale quotidiano e naturale per coloro che di questo mondo fanno parte.
Così come naturale è doparsi:

 «In tutta questa faccenda c'erano due cose sicure, anzi tre. La prima: il medico del Genoa non ne sapeva niente, queste punture ci venivano fatte di nascosto da lui. La seconda: se qualcuno di noi titolari le avesse rifiutate, avrebbe perso il posto in squadra e avrebbe fatto la figura del vigliacco. 
E la terza: nessuno di noi giocatori titolari si sognava di rifiutare quelle iniezioni, perché effettivamente non sembravano nocive e aumentavano davvero il nostro rendimento atletico in campo, avevamo più sprint. Ma c'era una quarta cosa sicura, anzi sicurissima: di quella faccenda noi giocatori non ne dovevamo parlare con nessuno, neanche in famiglia, per nessuna ragione, tanto è vero che non ne parlavamo nemmeno fra di noi»

Il libro, poi, affronta il tema del calcioscommesse. E' una vera e propria cronaca fatta da chi ne ha partecipato ed è stato uno dei pochi a subirne le conseguenze:

«Domenica 13 gennaio '80 si doveva giocare Bologna-Juventus. I bianconeri erano in una situazione disastrosa: erano reduci da ben tre sconfitte consecutive, e in classifica stavano scivolando addirittura in zona retrocessione. Il giovedì prima della partita il direttore sportivo del Bologna, Riccardo Sogliano, alla fine dell'allenamento ci radunò tutti negli spogliatoi - titolari e riserve - e ci disse: "Ci siamo messi d'accordo con la Juve per pareggiare la partita di domenica. E' chiaro per tutti?". Nessuno di noi giocatori ebbe niente da obiettare»

Pensando alle parole di Petrini viene de chiedersi se ciò di cui lui ci parla, il marciume che riempiva il calcio italiano fra gli anni 60,70 e 80, oggi possa esserci ancora. 
La risposta è sotto gli occhi di tutti, ma non per tutti è scontata. Se pensiamo a ogni scandalo emerso in questi anni, Calciopoli, fideiussioni e passaporti falsi, processo juve per doping, crac societari, si potrebbe dire che persino un libro come "Nel fango del dio pallone" impallidirebbe di fronte ad essi. Ma, poi, in quanti si ricordano che è spuntato un video di  Fabio Cannavaro che assumeva sostanze, ad oggi, dopanti o che Buffon ha scommesso quasi un milione di euro in partite di calcio (alla fine ne è uscito prosciolto da ogni accusa), cosa vietata per un calciatore? 
E, ancora, perché non si verificano mai casi di doping nel calcio mentre nel ciclismo spuntano dopati come funghi? Negli ultimi dieci anni si sarà preso qualche aiutino solo Kallon?! 
E la droga? Gli unici ad usarla erano Borriello e Mutu per trombare meglio? 
Gli altri bevono acqua minerale la sera? Ma poi possibile che solo i giocatori della Juventus si dopassero? Per non parlare poi di Calciopoli, che ci ha rivelato come lo scandalo non fossero i fatti incriminati, ma il processo stesso di incriminazione e la strumentalizzazione dei fatti stessi. 
Tutti questi argomenti meriterebbero ore di discussione. Forse però sono cose che non vogliamo sentire, figurarsi rifletterci sopra. La verità è che siamo in una nazione ossessionata dal calcio (anche se in buona compagnia del resto d'Europa). 
E, se, già negli anni 80 c'erano interessi in gioco tali da portare alla nascita di determinati meccanismi, ad oggi, in cui il calcio è un business di dimensioni stratosferiche (si pensi al fatto che i club europei hanno un fatturato complessivo di oltre un miliardo di euro), gli stessi meccanismi si sono  affinati e resi più efficienti. 
Non voglio giudicare chi segue con passione questo sport, io stesso ne dipendo, ma, apriamo gli occhi, il calcio è marcio e non ci vogliamo credere. Il grande inganno.

Habemus Judicium:

Bob Harris

5 commenti:

  1. E' bello vedere che un appassionato di calcio riesce comunque a mantenere una certa obbiettività, non se ne incontrano tanti. Conosco persone che sostengono che Moggi non abbia mai fatto nulla di male e che le squadre coinvolte nello scandalo del 2006 siano state penalizzate ingiustamente, e che la squalifica di Moggi dalla FIGC sia stata una vergogna. Premetto che di calcio ne so poco e poco mi interessa in verità, ma da quello che so, Moggi è in attività da parecchio e non è che s'è fatto corrompere con gli anni, ha iniziato così la sua carriera e così l'ha continuata.
    In ogni caso, al di la del mio quasi totale disinteresse nei confronti del calcio e dello sport in generale, il post mi è piaciuto.

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  2. Ti ringrazio. Mi fa molto piacere che ad apprezzare l' articolo sia un non-appassionato di calcio, perché questo non è propriamente un post sul calcio. Siamo in Italia,il calcio è solo un emblema di come sia malata la nostra società.

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  3. Mah, non credo sia solo la nostra società, alla fine qui si parla di soldi e interessi, il calcio è solo un'altro modo per guadagnare. Poi, considerando che siamo in Italia e che nella nostra cultura il calcio significa molto a livello sentimentale, si riesce a guadagnare pure tanto. La cosa davvero interessante in questo post, al di la dell'argomento, è proprio poter vedere fin dove ci si può spingere per guadagnare. Anche per quanto riguarda il ciclismo, è vero che in Italia il ciclismo è piuttosto seguito, ma girano molti meno soldi intorno a questo sport rispetto al calcio. Probabilmente nel calcio ci sono anche meno controlli proprio per necessità. Non vado oltre perchè rischierei di dire castronerie.

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  4. Sicuramente dove girano soldi c'è marciume. Penso però che da noi i valori dello sport siano messi in secondo piano,rispetto invece a ciò che si impara fin da piccoli nel resto d'Europa. I genitori spesso sono anche più esaltati dei figli,che si sentono appoggiati nell'inseguire una gloria vana. Non ci spingiamo oltre perché, come dice Petrini,certe cose si sanno ma non si dicono. L'importante è non mentire a se stessi.

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