martedì 1 marzo 2011

LA SCHIAVITÙ DEL MANICHEISMO IMMAGINARIO

Vi è mai capitato di pensare alla contrapposizione netta tra due entità? 
Alla giustificazione logica da attribuire ad una divisione così netta operata dal linguaggio? 
Quando si può chiamare un cosa grande o piccola; pessima, discreta, ottima o straordinaria, facendo corrispondere la definizione linguistica con la realtà ontologica? 
Non scervellatevi in inutili elucubrazioni mentali, perché vi anticipo subito che una risposta a questo quesito non esiste! Noi tendiamo a performare la realtà in una schema cognitivo strutturato sulle parole, per semplificarne la comprensione. 
La nostra è una semplice “fictio veritatis” utile, probabilmente indispensabile, allo sviluppo della nostra conoscenza, ma di certo non aderente, o meglio coincidente con la realtà dei fatti nella loro essenza contingente. Non si deve correre il rischio di confondere dunque ciò che noi chiamiamo come tale, con ciò che esso sia realmente. 
Purtroppo però fin troppo spesso l’istintuale propensione dell’uomo a sentirsi possessore della verità ed al contempo fondatore di essa, lo porta a confondere ciò che pensa sia, con ciò che è: deontico ed ontico si fondono dissolvendo le loro rispettive caratteristiche distintive.
”Eh beh allora”, direte, “tutto qui, si commette un piccolo errore di semiotica filosofica!”, “e a chi può importare! A Huxley forse? Tanto è morto!”. 
No signori, non è solo un problema di speculazione filosofica, perché le conseguenze di quello che ho sopra esposto sono pesantemente incidenti nella vita sociale di tutti i giorni e spesso purtroppo in modo assai negativo… 
Vi siete mai chiesti dove risiedano le basi del razzismo, della discriminazione del pensiero, dei costumi, della religione? Esatto! (per i più svegli). Come non lo avete ancora capito?! (per i meno svegli). 
Nella insensata convinzione che quello che si crede giusto o vero, lo sia indiscutibilemente nella realtà, per ragioni… Ragioni… Ma quale ragioni! 
Per semplice limitatezza mentale e presunzione di onniscienza, in casi ancor più disperati! 
Ecco che allora con la stessa spontaneità con cui un fungo tira fuori il cappello da un umido terriccio nei pressi di una grande quercia in una giornata soleggiata, che la spaventosa ombra dell’ottuso manicheismo si paventa alle porte della nostra civiltà. 
Pensando al manicheismo, oltre che ovviamente al predicatore-teologo della Persia di inizio terzo secolo, Mani, fondatore della religione manicheista, per l’appunto, la mente corre all’icastica contrapposizione tra Luce e Tenebre, Bene e Male, Divino e Demoniaco. 
Allora effettuando un ulteriore passo avanti possiamo provare a capire le ragioni per cui l’uomo abbia deciso di interpretare la realtà caratterizzandola, quasi obbligatoriamente come buona e cattiva, con particolare attenzione al concetto di Dio E Demone, molto caro alla nostra, di certo non mia, cultura cristiana. 
L'uomo ha creato l'idea di Dio per fortificare la propria conoscenza e glorificare la propria idea di bene, sopra le ragioni degli altri uomini. Ha creato poi l'idea di Demone per legittimare la trasgressione e giustificare la sua propensione verso quello che ritiene il male. 
La tensione di sconfinata libertà ed edonistico piacere si fonde con la confinata sicurezza della privazione e del dolore. Per assurdo si giunge così, partendo da una propensione istintuale che dovrebbe portare ad una semplificazione della conoscenza, all'aberrazione della realtà! 
La trasposizione del pensiero discriminatorio in comportamento discriminatorio, affonda poi le proprie radici nella idiozia della paura di essere uguali e diversi da sé stessi e dagli altri. Sono la volontà di compenetrare noi stessi con tutta la realtà e la paura del cambiamento della realtà, che come già detto non può certo essere coincidente con la immobile idealizzazione che di essa si fa. 
Solo quando ogni uomo prenderà coscienza della bellezza della libera perfettibilità dell'essere ed accetterà serenamente l'imperfetta manifestazione della contingenza, che trova luce nel dubbio gnoseologico della ragione, allora libererà sé stesso ed il mondo dalla schiavitù delle sue divinità e dei suoi demoni. 
Ok, la finisco di scimmiottare Albert Camus, ma ricordate curiosi lettori, che come diceva il filosofo inglese di inizio ventesimo secolo Thomas Dewar, “La mente è come un paracadute – funziona solo se è aperta”: non dimenticate di tirare la cordicella allora!

Adamantine Ego

10 commenti:

  1. La base del razzismo e della discriminazione del pensiero è proprio la palese esistenza di quegli stessi concetti che neghi, cioè bene e male. Non esiste relativismo in questo, è la stessa esistenza e lo stesso comportamento nostro che lo dimostra.

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  2. I concetti di bene e male sono concetti di definizione che provengono dal giudizio intellettuale, non hanno radice ontologica nella realtà. Il relativismo del pensiero non deve essere temuto ma incentivato, perché solo nella libertà di pensiero si sviluppa l'intelligenza e la coscienza sociale, non rimanendo attaccati a dogmi che incancremiscono la mente. Comunque,ovviamente, libero di pensarla diversamente, anche questo è relativismo :-)

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  3. Ma il problema non è la definizione infatti (bene e male possono anche avere nomi invertiti o essere espressi in qualsiasi altro modo ortografico e linguistico), quanto proprio l'esistenza, l'ontologia. A volte purtroppo questi discorsi filosofici tendono ad essere troppo astratti, simili alla tartaruga che non raggiunge mai Achille; ci sono concetti, come appunto quello di male, che nascono esattamente con l'uomo e sono insiti in noi. Però forse la tua affermazione 'bene e male sono concetti di definizione che provengono dal giudizio intellettuale' si può accettare solo 'spersonificando' l'uomo, renderlo semplicemente un mero strumento esistente senza coscienza, un prodotto della natura comunque intesa che è solamente conseguenza della contingenza e di nient'altro, che agisce solo in base alla contingenza e secondo niente altro, un uomo senza Volontà. Quindi, io (e ovviamente tu e qualsiasi altra persona) penseremmo che uno stupro, un omicidio o qualsiasi altra cosa che chiamiamo male sia male proprio perché non siamo noi a deciderlo, ma i nostri geni (altro modo di chiamarla contingenza, converrai che le due espressioni sono identiche in questo contesto). Ecco, io questo totale determinismo (noi non siamo liberi di decidere nulla, siamo solo prodotto che obbligatoriamente porta a decise conseguenze) non lo accetto e non lo accetterò mai, non potrò mai degradare l'uomo allo stesso livello della pietra ;)

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  4. L'idea del determinismo, per quanto offra spunti interessanti,non può certo essere confermata o utilizzata come presupposto di partenza per definire le cosìdette regole sociali: il diritto stesso salterebbe per aria senza la volontà! Per ciò, pur non avendone la certezza, io parto dal presupposto che la volontà sia esistente, ma non ritengo comunque che i concetti cognitivi da essa posti abbiano esistenza al di là delle parole. Mi spiego meglio. Bene e male corrispondeno ad una nostra idea di bene e male che si è performata nel tempo, attraverso lo sviluppo della "cultura sociale", non rispondono ad un dictat genetico né di altra natura, diciamo extraterrena. Io non dico certo che sia lecito comportarsi in un certo modo solo in nome del relativismo, ma nemmeno che sia sbagliato semplicemente perché lo è, in modo puramente ontologico: un certo comportamento è etichettabile come "sbagliato" perché nella cultura sociale del momento, contingente alla storicità, viene inteso così. Pensa a come era punito il furto o l'adulterio anni fa, o come continua ad essere putito purtroppo oggi in alcuni paesi. Per noi è folle, sbagliato, ma per chi lo applicava al tempo o continua ad applicarlo oggi, ed incredibilmente talvolta anche chi ne subiva/sce le conseguenze lo riteneva o lo ritiene ancora giusto! Bene e male sono legati alla cultura e si evolvono nel tempo, per questo sostengo che non bisogna essere legati a preconcetti inamovibili, bensì a punti di riferimento dai quali evolvere ed adattare il pensiero, la coscienza sociale, che se mossi nella dimensione della libertà e della ragionevolezza, pur attraversando difficili periodi di transizione, porteranno di certo ad un miglioramento, sempre storicamente inteso. Intelletto, cultura, ragionevolezza ed apertura mentale conducono all'evoluzione verso il meglio, paura, stupidità, conservatorismo invece paralizzano l'evoluzione. Spero che ci ritroveremo a commentare, è stato un piacere fare due chiacchiere con te :-)

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  5. Sul fatto del 'come' viene punito il male siamo d'accordo, del resto è evidente che alcune barbarie persistono ancora oggi e anche in paesi che si autoincensano come 'portatori della democrazia'. Il punto però che il furto, l'omicidio ed altre fattispecie determinate siano male e lo siano sempre state (per l'uomo) non è in dubbio, cioè non è prodotto della cultura evolutasi nel tempo ma è dalla stessa comparsa storica dell'uomo che vengono considerate tali. Non esiste epoca o cultura in cui l'omicidio o il furto o la menzogna o l'adulterio (ovviamente intesi in senso assoluto, senza casi particolari o eccezionalità) non vengano considerati 'male'. Poi, per fortuna, la sempre più continua civilizzazione ha esteso ancora la portata del 'male' di quelle fattispecie, ad esempio facendo diventare male l'adulterio anche del marito e non solo della moglie o l'omicidio dell'uomo schiavo :)

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  6. La figura di reato nasce quando l'uomo diviene capace di definirla. Nella natura strettamente animale dell'uomo non esiste giusto o sbagliato, c'é solo il naturalmente funzionale o no. Giusto o sbagliato nascono quando la cultura socializza l'uomo e servono a trasporre l'utile particolare in utile sociale. Ma la definizione dell'utile sociale ha ancora una volta radice storica, non ontologica. Tanto che in alcuni casi il furto o l'omicidio sono addirittura giustificati. Rubare i soldi ad un mafioso e redistriburli a chi li avevi illecitamente sottratti od uccidere un folle assassino per evitare che faccia saltare in aria una scuola, è visto come un gesto addirittura coraggioso, eroico. Quindi anche in uno stesso ambiente storico-sociale, stessi fatti reali corrispondono a fattispecie di valutazione diverse, annullando la presunzione di assolutezza dei concetti.

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  7. Quei due esempi che hai fatto sono esattamente quello che avevo definito casi particolari o eccezionalità; quei due gesti comunque in ogni epoca e società sarebbero visti come positivi, come 'bene'.
    La questione del come poi il diritto interpreta questi fatti non interessa direttamente la questione 'bene-male', poiché il diritto è (questo sì) una mera invenzione umana, che nonostante prenda spunto dal dualismo bene-male persegue interessi essenzialmente politici, almeno ai giorni nostri. E' accaduto che il diritto patinasse di legalità la discriminazione degli ebrei, ad esempio. Per fortuna, nella nostra civile epoca, il diritto è quasi tutto totalmente conforme a Giustizia.

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  8. Sono d'accordo sulla legalità, ma non sul punto che la giustizia sia trasposizione diretta del sentire comune secondo la coscienza del bene. Non esiste il giusto assoluto, perché le fattispecie sono varie, mutevoli ed osservabili da punti di vista differenti. Solamente l'unanimità d'opinione tra tutti gli esseri viventi, presa in un determinato momento, per un determinato fatto, osservato secondo una determinata prospettiva renderebbe quel fatto valutabile assolutamente come "giusto" in un certo modo: valutabile non ontologicamente tale, perché l'essenza è ben altra cosa dal giudizio. Ma è facile rendersi conto che una tale eventualità è inverificabile, dunque si procede ad assimilare per semplificazione ciò che più gli si avvicina. Si utilizza per utilità l'etichetta di giusto, astraendo a principio di indiscutibile validità un'opinione,un giudizio, che per quanto condivisibile ripeto, rimane pur sempre un'opinione. La giustificazione ontologica di un principio è un'aporia: ti consiglio di guardare in merito i "tropi di Agrippa". Alla prossima :-)

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  9. Sì li conosco i tropi ;)Bene abbiamo sviscerato a sufficienza mi sembra, non si può andare oltre senza ripetere da parte mia e da parte tua le stesse cose. Valete.

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  10. E sia. In ogni caso è stata una bella discussione. Alla prossima ;-)

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