sabato 29 ottobre 2011

"MELANCHOLIA": IL PESSIMISMO COSMICO SECONDO VON TRIER


Lars Von Trier è un fottuto genio: prende il tema fantascientifico per eccellenza, la fine del mondo, e la carica di una lentezza e noia esistenziale.
"Melancholia" è una lenta danza di morte che piano piano ci conduce verso l'inevitabile destino di un'umanità cattiva ed abbandonata a sé stessa, imbrigliata nelle consuetudini sociali, nella più sfrenata mentalità capitalista e negli ideali di vita borghese. Non stupisca perciò che il teatro dell'opera del regista danese sia la magione di una ricca famiglia, quella di Claire, sorella della sposa e protagonista del film (interpretata da Kirsten Dunst). In essa avvengono gli avvenimenti narrati, divisi opportunamente in due capitoli: il primo dedicato a Justine, la sposa, il secondo a Claire. Ad una prima parte che ci mostra il banchetto di nozze, segue una seconda in cui domina l'angoscia e l'attesa per l'avvicinamento del pianeta Melancholia
Il personaggio di Justine ha fruttato a Kirsten Dunst il premio come miglior attrice al Festival di Cannes, direi ampiamente meritato alla luce della intensa ed assente interpretazione regalataci dall'attrice statunitense, bella come il sole e dal fascino magnetico; ed in generale "Melancholia" gode di un cast pazzesco, a partire da John Hurt e contando su attori del calibro di Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, Stellan Skarsgard.
Justine rappresenta la reazione nichilista e anticonformista ai valori sociali attuali. Manifesta minuto dopo minuto il disagio e la sua insofferenza per un'esistenza chiusa in schemi rigidi ed altamente convenzionali, e lo fa dall'interno, essendo un perfetto ingranaggio di quel meccanismo (nel film si scopre che è una brillante pubblicitaria in procinto di sposarsi con un perfetto bravo ragazzo, il tutto celebrato in un clima di matrimonio da favola). Emblematico che il suo turbamento si manifesti gradualmente proprio nell'occasione del ricevimento nuziale, rompendo il falso momento idilliaco e dando vita a un malessere che sfocerà in una depressione profonda. 
Ed ancora più emblematico il fatto che la seconda parte del film, che narra dell'avvicinamento di "Melancholia" restituisca forza e vigore a Justine, che sembra essere attratta e ipnotizzata dal pianeta (cosa resa evidente da una scena solenne che non vi anticiperò), accogliendo con entusiasmo la sua venuta che cancellerà la Terra, purificandola dal male che vi alberga.
Ad una Justine assente, scostante e apatica, si contrappone la sorella Claire, portatrice di valori tradizionali e antagonisti, in cui crede fermamente e nei quali si rifugerà fino alla fine. 
Le differenze fra le due sorelle, anche fisiche, stanno dunque a significare una diversa concezione dell'esistenza, e, senza dubbio, si può affermare che Von Trier sia più vicino alla visione di Justine che a quella di Claire, per quanto quest'ultimo personaggio abbia una sua dignità e un suo valore nella narrazione.
Lars Von Trier ha sempre cercato di dare ai suoi film una forma pomposa e teatrale, che stupisse lo spettatore, cosa ben evidente anche in questo film dal prologo apocalittico e visionario, in cui domina il Tristano di Wagner, ed in cui le immagini rallentate, come quadri impressi nei fotogrammi, preannunciano una fine imminente ed esprimono tutta l'angoscia della protagonista.
Altra caratteristica del regista è l'uso insistito primi, primissimi piani con movimenti di macchina grezzi e traballanti, in cui dominano colori saturi, cosa che farà storcere il naso a non pochi.
Non posso affermare che il film sia oggettivamente un capolavoro, ma, riprendendo l'espressione che ho usato all'inizio del post, posso senz'altro definire Von Trier un genio, che, come tutti i geni, divide e suscita scalpore ed è un maestro nel  farlo.
"Melancholia" non fa eccezione: o si ama o si odia, niente vie di mezzo.

Habemus Judicium:


Bob Harris

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