martedì 4 aprile 2017

"THE INVITATION" (2015) di KARYN KUSAMA: QUANDO IL THRILLER E' FORMATO QUALITA'


Per vie trasversali ho sentito parlare di "The Invitation", film incensato e considerato una chicca del genere thriller.
Lo vedo. Passo e chiudo.
No, no aspe, parliamone un pochino. Guardate mi voglio togliere subito il dente e vi dico che il film è davvero bello e lo consiglio a tutti (inevitabilmente, ahimè, sarà sempre un appello per lo più non accolto). Adesso cerchiamo di capire perché.
Trama del film: coppietta interracial va alla ex casa della ex moglie di lui che organizza una rimpatriata tra amici. Lui ci va mica tanto convinto perché hanno perso un figlio anni prima e il protagonista non ha smaltito affatto il lutto; cosa che la ex, Eden (?), pare invece averlo fatto. Anzi, è colma di gioia negli occhi e anche il suo nuovo compagno lo è, così come lo sono anche due conoscenti dei padroni di casa, estranei alla combriccola ma presenti misteriosamente alla festa.
"The Invitation" è un film elegante. Si prende i suoi tempi, le sue inquadrature, costruisce i suoi dialoghi, le sue atmosfere e comincia a tessere la sua tela, in cui piano piano lo spettatore viene avvolto. È una tela fatta di angoscia, sospetto ed inquietudine che poco a poco cresce durante la visione del film, presagio di qualcosa di intuibile ma indescrivibile. 
In fondo, se tralasciassimo alcuni segnali, così come fanno i vari personaggi, potremmo tranquillamente descrivere un film che tratta delle dinamiche relazionali tra adulti di una determinata classe sociale di un determinato ambiente in determinate circostanze. Avremmo già la nostra bella trama in cui si analizzano le possibili reazioni dei soggetti che si trovano ad elaborare un lutto. 
Ma "The Invitation" vuole andare più in profondità, così come il nostro protagonista. 
Essi ci vogliono dire che, no, qualcosa non torna. Che un trauma del genere, che una tale ingiustizia del fato, non possono riassorbirsi come un ematoma. Si può solo nascondere a forza la merda sotto il tappeto e, anzi, di quella merda ci si può riempire il cervello. Qualcosa di sinistro aleggia nell'aria: dai dialoghi dei personaggi, dalle situazioni apparentemente normali ma sensibilmente grottesche, dai comportamenti ambigui e parossisitici
La violenza in questo film c'è in abbondanza, ma è minimalista: esplode e si ritrae subito, quasi potremmo dire di non averla vista e, spesso, durante il film non la vediamo direttamente. Perché in fondo questo non è un film sulla violenza. È un film che va oltre il genere. Riflette sull'umanità quale concetto di magma di passioni represse e incanalate verso fanatismi distruttivi, indottrinata al culto di santoni accademici, nutriti dalla disperazione dell'esistenza.
Lo spettatore esce turbato: lo sente che non è solo finzione, che è uno scenario plausibile; la storia lo insegna, la sua coscienza pure. Affacciati alla finestra di casa, lanterne rosse tutto intorno a noi. Un giorno, da qualche parte.

Habemus Hudicium:


Bob Harris

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