martedì 16 maggio 2017

"BRIDGET JONES' S BABY" (2016): CI BASTAVA IL PRIMO

E' una di quelle sere in cui entro in videoteca (no, ancora non c'ho 'sto Netflix) con l'idea di staccare la spina. Migliaia di copertine di dvd da scrutare che aprono ad una disperata ricerca di una commedia brillante.
Ho poca lucidità mentale, sono consapevole di poter cadere in errore e di incappare in una di quelle scelte che possono far male.
Incrocio uno sguardo. Lei mi osserva con tono basito.
Eccola lì, l'imbranata biondina inglese, ancora in una piena tempesta sentimentale, evidentemente fuori tempo.
Tentenno un po'. Faccio un passo verso di lei. Prendo questo cavolo di "Bridget Jone's baby".
E dire che quella oscenità scritta sulla locandina, "Situazione sentimentale: troppo complicato", avrebbe dovuto farmi desistere...

Riepilogo delle puntate precedenti (i primi due capitoli)
16 anni debuttava cinematograficamente Bridget Jones. Una gradevole commedia romantica incentrata su un' eroina sui generis, maldestra, goffa, grassa, con il vizio del fumo e del bere.
Una single ultratrentenne immersa in un ambiente sociale dinnanzi al quale doversi continuamente giustificare per uno stile di vita percepito come una trasgressione che fugge da ogni razionalità. Un film nell'insieme ben costruito e capace di rovesciare, almeno in parte, gli schemi classici del genere.
"Il diario di Bridget Jones" si poggiava su un buon cast, gag azzeccate ed il divertente triangolo amoroso tra lei (Renée Zellweger), Colin Firth (nei panni del bell'avvocato Mark) e Hugh Grant (Daniel), una riproposizione moderna, scanzonata e meno profonda di "Orgoglio e pregiudizio". Tutto si incastra, grande successo al botteghino, contenti i produttori, contenti gli spettatori che si ritrovano a passare 93 minuti di piacevole svago.
Per carità il film aveva le sue pecche, la cara Bridget rimaneva un po' appiattita nel suo personaggio, non aveva chissà quale evoluzione psicologica ed il lieto fine appariva più un adeguarsi alle logiche sociali inizialmente estranee a lei.
Il film raggiungeva però il suo obiettivo: intrattenere e divertire il pubblico.
Il successo spinse a replicare la formula, ed arrivò "Che pasticcio Bridget Jones".
Risultato: il titolo ci diceva la verità, il il film era realmente pasticciato, una storia forzata innervata dalla riproposizione degli stessi identici schemi del primo capitolo, delle stesse gag (le chiappone della Nostra in diretta televisiva, la classica scazzottata tra i due) che, come ovvio che sia, non avevano più la loro forza originaria. 100 minuti di poche risate e qualche sbadiglio, un film che poté donare qualche soddisfazione solo a chi entrò in sala per viversi lo scontato lieto fine.
Passano gli anni, e ci riprovano. Forse l'idea di concludere la serie con qualcosa di più degno, forse un ingiustificato credito verso personaggi che sembravano aver già dato tutto nella prima opera, forse l'idea di sfruttare ancora un grande successo commerciale.

"Bridget Jones's Baby":
Il film si apre con gli stilemi di sempre.
Troviamo la Nostra seduta sul divano, sola ed in pigiama a festeggiare il suo compleanno. In sottofondo l'ombra spettrale della voce di Celine Dion.
E' chiaro sin dalle prime battute la coerenza dell' inglesotta (non più così cicciottella ma ben carica di botox) con le puntate precedenti, sempre in balia dei dubbi amorosi ed incapace di mantenere una salda relazione con il fin troppo paziente Mark.
Sin da subito ci spiattellano tutti gli ingredienti un sequel rassicurante e scontato.
La storia del film è semplice e non ci sono chissà quali idee geniali di fondo. Bridget è una donna in carriera con un buon impiego in un'emittente televisiva e circondata dagli amici di sempre (a cui se ne sono aggiunti altri).
A rompere questa stasi entra in scena il sesso. Dapprima una sveltina con il fascinoso Jack (Patrick Dempsey), poi un fugace amplesso con il solito Mark. All'improvviso un bimbo in arrivo, l'inconsapevolezza di chi possa essere il padre e la decisione di dare la buona novella ad entrambi.
Il film nell'insieme si segue, per carità, ma non decolla.
La sostituzione del terzo incomodo non convince a pieno, Patrick Dempsey ha 1/4 del carisma del Daniel di Hugh Grant. Gradita è l'entrata nel cast di Emma Thompson nei panni della ginecologa di Bridget e protagonista delle gag più divertenti che scaturiscono dai doppi colloqui con i papà (alla fine è lei a sobbarcarsi l'assenza del buon Hugh Grant).
Cosa penso di questo ultimo capitolo?
E' un sequel. Mi spiego, è uno di quei film che mira ad i fan (tanti per questa serie) e li rincuora (e scemo io nel pensare di trovar qualcosa di diverso).
Dona a questi una Bridget Jones finalmente mamma facendola arrivare definitivamente alla tanto agognata normalità sociale. E' una pellicola che inevitabilmente mira sull'effetto nostalgia e lo fa dando un discreto intrattenimento che, a differenza del secondo, gode di qualche buona trovata comica senza però evitare qualche scivolone ed un finale davvero debole.
"Bridget Jones' baby" è un po' la rimpatriata che non ti aspetti, una di quelle cene con i compagni del liceo che non vedi da 10/20 anni . Può far piacere come no.
Tornando indietro? Mi eviterei la cena.

Habemus Judicium:


Ismail

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