mercoledì 3 maggio 2017

"CONTROL" (2007) DI ANTON CORBIJN: UN DOPPIO COMMENTO AL FILM

« L'esistenza. Che importanza ha? Io esisto meglio che posso. Il passato fa parte del mio futuro. 
E il presente è fuori controllo»

1) Ordinare il dvd di "Control" dall'Inghilterra per spararmelo in versione originale con sottotitoli in Inglese credo sia stato un atto d'amore da parte mia nei confronti dei Joy Division. In realtà sto formulando una frase fatta buttata li perché si ficcava bene nella mia fluida stesura di questa introduzione. 
No, non posso definirmi un fan dei Joy Division. Sono stati uno dei primissimi gruppi che ho iniziato ad ascoltare nella mia iniziale fase di miglioramento dei gusti musicali. Eccomi lì in un periodo di transizione dalla musica pop e, ganzo ganzo, potevo difendermi (almeno per qualche minuto) con gli intenditori citando il consideratissimo e radical chicchatissimo gruppo di Manchester, elencandone qualche pezzo. Che poi mi piaceva molto ascoltarli, solo che, ovviamente, sono un po' depressivi e ossessivi, cosa che ne ha contraddistinto il sound ed è assunto a marchio di fabbrica. 
Ora sicuramente la recensione del mio illustre collega sarà più partecipata e scrupolosa della mia , perché parliamo di un possessore di vinili di entrambi gli album e afiocionado da decades: perciò vi rimando a dare l'occhiata più partecipe al suo post.
Il film è fatto molto bene.
Recitato bene dagli attori (i live sono riprodotti fedelmente e Sam Riley si avvicina molto al timbro e alle movenze di Curtis) e girato bene da Anton Corbijn, regista di videoclip che però non usa uno stile da videoclip manco per niente. Anzi il film ha un piglio documentaristico e, raramente, vedrete un biopic musicale così asciutto (vero Oliver Stone?).
Il bianco e nero fa la sua porchissima figura ed è fondamentale per immergerci nel clima ossessivo/cupo/espressivo del protagonista e, soprattutto, della provincia grigia e industriale del nord dell'Inghilterra. Il regista, tra l 'altro, aveva già avuto a che fare con i Joy Division: aveva girato il videoclip di Atmosphere, proprio in bianco e nero (nella riedizione del brano del 1988).
Il film è incentrato ovviamente su Ian Curtis; la band è contorno di patate; le donne della sua vita sono il tormento che lo farà a pezzi; l'epilessia un demone infimo che si nasconde per poi assalire all'improvviso, una sentenza di morte che non ha un perché né una speranza. Chiunque voglia avvicinarsi a questa figura misteriosa e magnetica, capire il perché del gesto estremo che ha mosso la sua mano, dovrebbe vedere questo film: ciò che "Control" ci restituisce è l'animo fragile, vessato dalla malattia e dal dolore distruttivo di un sentimento continuamente fagocitato e rigettato; consumandosi tra due fuochi, ciò che Ian non è riuscito ad accettare, è il fatto che l'amore possa diventare da un lato una prigione di doveri, una zavorra di sensi di colpa e dall'altro è l'effimero e frustrato tendere verso qualcosa di irraggiungibile.
Ciascuno di noi lotta ogni giorno con questa consapevolezza.
Ian Curtis non era un divo, era un ragazzo qualsiasi.

Habemus Judicium:

Bob Harris
2) I Joy Division sono uno dei simboli più fulgidi del post-punk.
Due soli LP all'attivo, "Unknow Pleasure" e "Closer", due capolavori che rinnovarono profondamente la scena musicali. Un alternarsi di suoni gelidi ed ossessivi (più rabbiosi nel primo, quasi levigati nel secondo) che accompagnano e riflettono le cupezze dei testi di Ian Curtis: è lo specchio di un'esistenza dilaniata, un racconto austero e fascinoso mai alla ricerca di compatimento.
L'idea di fare un film sulla figura tanto carismatica quanto fragile del cantante macuniano sfiorava la mente di qualche produttore già da circa un decennio; l'occasione era di dar immagine a "Touching from a distance", romanzo autobiografico edito nel 1995 e scritto da Deborah Woodruff, la vedova Curtis.
Dopo tanti anni si giunge a dama ed il progetto viene affidato all'olandese Anton Corbijn, un esordiente ai lungometraggi, sino ad fotografo celebre per i suoi ritratti a tanti musicisti nonché regista di numerosi videoclip musicali di importanti band come i Depeche Mode ed i New Order.
Il progetto per Corbijn rappresentava un ritorno al passato.
In un'intervista di qualche anno fa disse "I moved from Holland to England in '79 because of Joy Division". Fu grazie a quel trasferimento che arrivò la sua svolta artistica.
I dubbi prima della visione del film (quasi dieci ani fa, sic) erano molti.
I biopic sono un campo minato per i registi; a volte danno vita a prodotti simil-televisivi in cui si corre didascalicamente lungo gli eventi principali di una vita; altra volte, in caso di biopic a sfondo musicale, ci siamo ritrovati tra i piedi pellicole scialbe, infarcite a più non posso di brani musicali, tese a costruire più un'agiografia che a raccontare una storia. Altre volte ancora si è caduto nel grottesco con ricostruzioni della vita privata così goffe da sembrare quasi un inutile tentativo di smitizzare l'artista in questione.
Poi la scelta dell'esordiente Corbijn fu un bell'azzardo.
La visione di "Control" fugò ogni dubbio iniziale.
Non un capolavoro, ma sicuramente una buona prova.
"Control" muove dallo Ian diciassettenne ed intreccia il racconto della vita artistica con quella privata. Da un lato i primi passi dei Warsaw (il primo nome dei Joy Division), i concerti ed il tentativo di sfondare, una storia che accomunava Ian e soci a quelle decine di band che sorgevano dalla dirompente rottura apportata dall'ondata punk. Dall'altro lato i difficili rapporti sentimentali con Deborah Woodruff, la moglie, e la giornalista belga Annik Honorée.
Il film è quadrato ed austero, contraddistinto da un glaciale B/N (che il regista conosce molto bene) che ben inquadrano il contesto storico-sociale dell'Inghilterra operaia (bello il rapporto tra spazi urbani e persone che sembrano compenetrarsi l'uno con l'altro), nonché le luci ed ombredello Ian ragazzo.
Ricca e meravigliosa la colonna sonora, ma non poteva essere altrimenti. Tanti i brani dei Joy Division, come ovvio che sia, a cui si aggiungono David Bowie (ammirato dal giovane Ian Curtis), Kraftwerk e Sex Pistols. Ma "Control" non è solo musica. Ed è questo il grande pregio.
Crorbijn opta per i silenzi, i punti morti, gli interni degli appartamenti in cui far risaltare scricchiolii e rumori di sottofondo; è grazie all'azzeccata ricostruzione di un ambiente intimo che lo spettatore entra in simbiosi con le sofferenze dell'animo umano.
Poi c'è Sam Riley, vero punto esclamativo del film; perfetto nell'interpretare il cantante mancuniano nelle movenze e le vocalità. E si, anche la seconda, visto che i brani dei Joy Division presenti nel film (escluse "Atmosphere" e "Love will tear us part") non sono le versioni originali bensì registrazioni eseguite direttamente dal cast del film durante le riprese. Scelta coraggiosa che ha dato grande credibilità alla scena.
Corbijn se la cava egregiamente in un campo dove sono scivolati registi con ben altra esperienza. Firma una pellicola che fuoriesce dalla fanbase della band, fugge dalla banalità del mito musicale, ed apre le sue braccia al cinema.

Habemus Judicium:

Ismail

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