lunedì 10 luglio 2017

"TIMBUKTU" (2014) DI ABDERRAHMANE SISSAKO: IL CINEMA AFRICANO DI QUALITA'

«E' proibito... stare affacciati, stare seduti davanti alle case e fare qualcosa che comporti intrattenersi per strada. L'adulterio è il peccato più immondo. L'adulterio durante il mese di Ramadan è gravissimo e sarà punito con la morte mediante lapidazione»
-Un Jihadista-

Timbuktu, città del Mali, viene invasa da un gruppo di radicali islamici che impongono come regola l'assurdo delle loro idee. La musica, le sigarette ed il calcio vengono banditi. Alle donne viene imposto un nuovo vestiario. Tutto ciò che può comportare un'interazione sociale diviene esecrabile e giudicabile dagli improvvisati tribunali religiosi.

Non lontano dalla città, in una tenda immersa tra le dune del deserto, un pastore nomade, Kidane, vive assieme alla moglie Satima, la figlia Toya ed a Issan il giovane guardiano della mandria. 
Quella della piccola tribù è una vita pacifica e serena. Dalla tenda i tre possono solamente percepire gli avvenimenti che stanno sconvolgendo Timbuktu. La situazione viene però rotta da un avvenimento, l'uccisione di una loro mucca da parte di un pescatore, che spinge Kidane ad agire in difesa del proprio lavoro. Lui e la sua famiglia finiranno sotto l'occhio inquisitore degli Jihadisti.
La genesi del film, grande successo di pubblico in Francia e vincitore di numerosi premi (2 premi al Festival di Cannes, 7 premi Cesar e la nomination come miglior film straniero agli Accademy Awards) ci viene raccontata dallo stesso regista: « Il 29 luglio del 2012 ad Aguelok, una piccola città nel nord del Mali, un crimine inspiegabile ebbe luogo. Un crimine sul quale i mezzi di comunicazione di tutto il mondo chiusero gli occhi. Una coppia di trentenni, genitori di due figli, sono morti lapidati. La loro unica colpa era di non essere sposati. Il video del loro assassinio, che è stato pubblicato sul web, è mostruoso. La donna muore colpita dalla prima pietra, mentre l’uomo butta fuori un urlo disperato. Poi silenzio. Aguelok non è Damasco. Non è trapelato niente di questa storia». 
"Timbuktu" è in primo luogo questo, un film diretto all'occidente, un grido d'allarme che prova a rompere il silenzio in cui questi fatti rimangono sommersi. Attenzione però, Sissako non si limita alla semplice denuncia, ma dà vita ad un'opera cinematografica che muove dalla cronaca, la smonta e la ricostruisce attraverso allegorie ed immagini evocative. Ci ritroviamo dinnanzi ad un'apertura potente che funge da vero e proprio manifestoun gruppo di Jihadisti rincorre, a bordo di un Pick-up, una gazzella; durante la caccia, dalla gola di uno dei cacciatori, sale un grido: "sfiancala, non ucciderla!". Una breve sequenza che riesce a dire tutto. Ed ancora la partita di calcio, che i ragazzi del posto possono immaginare, oppure per la megafonata che spiega i nuovi precetti agli abitanti della città. E' solo attraverso queste piccole cose che si può capire come un pensiero totalizzante possa spazzare via tradizioni, usi e ritmi preesistenti. Un percorso dell'assurdo al potere che giunge nell'inevitabile esplosione di violenza e si mostra nella sua più banale semplicità.
"Timbuktu" ci lascia un grido di dolore in gola e una flebile (e necessaria) speranza, una corsa a perdifiato tra le dune che un giorno potrà avere il sapore di rinascita e nuovo inizio.
Tra le più intense produzioni degli ultimi anni.

Habemus Judicium:

Ismail

Nessun commento:

Posta un commento