lunedì 9 ottobre 2017

"JACKIE BROWN" (1997) DI QUENTIN TARANTINO

«Se oggi come oggi, senza un'occupazione, avessi la possibilità di scappare con mezzo milione di dollari, l'afferreresti?» 
-Jackie Brown-

Il genio deve appagare trasversalmente. 
Le sue opere tendono ad essere apprezzate un po' da tutti e Tarantino è un esempio di ciò. 
Lo spettatore medio si gusta "Pulp Fiction" tanto quanto il critico dei critici, certamente a livelli di lettura diversi e cogliendo sfumature diverse.
Ma, nel marasma di elogi a Quentin, c'è un chiaro elemento per discernere l'occhio più esperto da quello meno avvezzo: "Jackie Brown". 
Tante volte leggo sul web commenti entusiasti rispetto al cinema di Tarantino, ma raramente sono rivolti a quella pietra miliare che è "Jackie Brown". Anzi, spesso questi commenti denotano una totale ignoranza dell'esistenza stessa del film. E scusate, non si può davvero apprezzare Tarantino se non si hanno stampate ben in mente le sequenze, indimenticabili, di quest'opera.
Questo accade perché "Jackie Brown" rappresenta un unicum nella filmografia del regista: il film più film da lui girato e il meno tarantiniano allo stesso tempo.
Vediamo il perché.
Jackie Brown (Pam Grier) è una hostess che arrotonda il suo esiguo stipendio contrabbandando del denaro per Ordell Robbie (Samuel L. Jackson). Questi è un mercante d'armi tanto stralunato quanto poco affidabile. Un giorno, Ordell riceve una chiamata dalla prigione da parte di Beaumont, uno dei suoi scagnozzi: egli gli chiede di liberarlo e pagare la sua cauzione...il resto prendetelo da Wikipedia...come ho fatto io.
Per una volta Tarantino decide di mettere la macchina da presa totalmente al servizio del film. 
Pochi sghiribizzi, montaggio lineare, musiche meno protagoniste e una regia molto pulita. Ovviamente siamo sempre nel mondo di Tarantino per cui ci vorrebbero altri mille mila film per ogni personaggio, tanto è geniale nel tratteggiare i caratteri.
Partiamo da Pam Grier ennesimo vernissage, compiuto dal regista, su un attore decaduto. Star del cinema black exploitation anni 70', rinasce ad eroina sui generis: vestita da hostess, imbolsita, compassata nei modi e perennemente sotto attacco. Ma tutta la passione e la nostalgia di Tarantino, per quella piccola fetta della storia cine/televisiva di serie B e per la sua icona, esplode in un elogio sincero e incondizionato, elemento tutt'altro che stilistico attorno al quale si costruisce l'intera trama. Trama che risulta essere classicamente tarantiniana per i suoi molteplici dipanamenti, per le sue sterzate e i suoi innumerevoli focolai narrativi. Ma, come già accennato, impoverita di certi virtuosismi abituali al regista (ma il piano sequenza nell'incontro con Beaument non lo si può dimenticare) quali il montaggio disordinato e le sequenze ad effetto, iperrealistiche (più o meno) e fini a sé stesse, fattori genetici del linguaggio epistolare del regista.
L'effetto è una narrazione piuttosto lineare, austera e priva di distrazioni.
Poi, ovviamente, lo stile è un marchio di fabbrica perciò non mancano i consueti dialoghi ultra-pop, la canonica dose di violenza, il sarcasmo e la gigioneria.
Un film dalla trama avvincente e realistica, un Tarantino insolito e trattenuto ma, proprio per questo, illuminato. I suoi film e il suo stile sono un patrimonio per l'umanità, ma Tarantino ci insegna che, quando vuole, può dare lezioni a chiunque anche e, soprattutto, sottraendo a se stesso. 
Less is better, baby!

Habemus Judicium:

Bob Harris

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