lunedì 6 novembre 2017

"IT: CAPITOLO UNO" (2017) DI ANDRES MUSCHIETTI


Questa trasposizione di "It" era attesa dal 1990, anno di uscita della miniserie TV televisiva, che fu la prima a dare forma all'incubo perverso e mitologico di King. Per quanto annoveri molti sostenitore (per lo più nostalgici), trattasi di un prodotto televisivo di scarso livello, come tanti altri partoriti dalla decade più fiacca del cinema. A dover fare una comparazione filologica con il romanzo poi, lo si dovrebbe considerare un'eresia bella e buona. 
Il cinema è il cinema e la sua fonte di ispirazione non deve mai essere un coltello puntato alla gola. Ma, premesso ciò, snaturare "It" romanzo, svuotandone i passaggi più importanti e caratteristici (cadendo perciò in contraddizioni facili e buchi di sceneggiatura, vedi ragni non accreditati) e incentrando la mini serie solo sulla figura di Pennywise, non è solo un tradimento, ma è un harakiri che condanna tale prodotto al dimenticatoio facile facile, nonostante un Tim Curry calato magistralmente nei panni (larghi) del clown.
Sceneggiato condannato a all'oblio quindi, specie ora che è uscito al cinema un prodotto ben più ambizioso, ovvero il film di Andrés Muschietti.
Avendo in dote un budget molto alto e godendo di una campagna pubblicitaria martellante, questo nuovo adattamento ha portato in sala una moltitudine di spettatori.
Non si può propriamente definire un film "adulto" in quanto decide di parlare il linguaggio degli  adolescenti (non diversamente da quanto fatto da King nella prima parte del romanzo d'altronde) strizzando l'occhio ai fan degli 80's che, come detto più volte, si stanno facendo una bella scorpacciata di revival cinematografici. 
Tra Siouxse and the Banshees, Micheal Jackson e New Kids on the Block, anche "It" 2017 porta il suo contributo a farci rivivere quegli anni, già a partire dalla collocazione temporale. Mentre il libro di King partiva dal post maccartismo degli anni '60, il film shifta agli anni '80 ed è davvero pregevole il lavoro di riproduzione scenografico e costumistico di quegli anni.
Aprendo il capitolo più tecnico dei vari aspetti del film, non si può eccepire granché ad una produzione killer, nata cioè per far centro già al primo colpo.
Detto di scenografie e costumi, effetti speciali, fotografie e musiche sono all'altezza di un blockbuster che punti all'eccellenza, perciò, se i singoli comparti tecnici non spiccano singolarmente allo stesso modo, il prodotto finale non delude.
Certamente si può biasimare l'utilizzo massiccio di jump scares, ma non siamo qui a parlare di un film innovativo o spiccatamente peculiare, bensì di un prodotto che deve accumulare dinero e, perciò, canonico e convenzionale. 
Il quid pluris che permette di affascinare (discretamente) è dato dal materiale di King, che qui viene rispettato e valorizzato in modo intelligente. D'altronde stiamo parlando di un libro che, tra cent'anni, sarà studiato nelle scuole e di un autore destinato ad essere osannato per lungo tempo per la sua capacità mitopoietica e immaginifica.
Bill Skarsgard, ovvero il figlio più piccolo e (il meno) raccomandato di Stellan, offre un'interpretazione di livello: seppur sacrificato dalle troppe scene d'azione/d'effetto, che lo piegano ad esigenze di intrattenitore puro, basterebbero la sua prima famigerata apparizione per promuoverlo: una scena pregna di tensione e orrido presentimento, orchestrata dallo sguardo felino e quasi lascivo dell'attore.
Allargando l'ottica del film bisogna dare atto a Muschietti di sapere il fatto suo. 
Gira un film episodico e rapsodico, con evidente appesantimento della messa in scena e smembramento della tensione. Ciò in parte va attribuito al libro di King è vero, ma ci sono almeno due scene di valore assoluto: la prima è la comparsa di Pennywise nel garage di uno dei ragazzi; la seconda vede protagonista Beverly e il proprietario di un negozio: in questa scena è racchiusa tutta la visione morbosa, ammorbata e perversa che King ha del mondo degli adulti.
In conclusione promuovo discretamente questa trasposizione di "It" che ci restituisce parte delle suggestioni del libro originale, non lesina in momenti gore e smorza alcune spigolosità del romanzo che non avrebbero permesso di dare vita ad un blockbuster di buon livello.
Il discorso che sia giusto biasimare la mancanza di coraggio e la ricerca del guadagno facile, va portato avanti fino ad un certo punto. Bisogna tenersi stretti questo adattamento che regala al cinema una visione che si avvicina al mondo di King.

Habemus Judicium:
Bob Harris

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