lunedì 30 aprile 2018

"TONYA" (2017) DI CRAIG GILLESPIE

I biopic sono opinabili. I mockumentary sono molto opinabili. "Tonya" è un biopic/mockumentary ed è un film opinabile.
Partiamo dalla pre-supposta che la storia di una pattinatrice può essere declinata in varie direzioni e in mille sfumature. Però aggiungiamo che qui si sta parlando di una rocknrolla dei pattini, una personalità talmente marcata da impacchettare da sola un copione perfetto per il cinema.
La storia di uno sportivo di successo dà la succosa possibilità di farci capire la differenza tra noi comuni mortali e un...comune mortale, ma con qualcosa di sovrumano. Che sia il talento purissimo, l'ossessione per la vittoria o la maniacale ricerca della perfezione, siamo di fronte alla concretizzazione di un potenziale, in uno dei pochi casi in cui riesce ad essere incanalato nel modo giusto. 
Perché questa è la storia di Tonya: una redneck ai limiti dell'analfabetismo, sgraziata e selvaggia, ma irradiata da un talento cristallino e un machiavellico concetto di successo. Ma è anche la storia di un rapporto madre/figlia mai sbocciato o, viceversa, talmente intenso e simbiotico da porre il dubbio su quali elementi debba basarsi veramente l'amore di un genitore. 
Che piaccia o meno, il film ha il pregio di mettere a nudo la voracità di gloria che alberga nell'animo umano, perfettamente rappresentato dalle due protagoniste femminili. In tal senso risulta davvero meravigliosa la sequenza in cui la madre di Tonya, che sembra sottostimare continuamente il talento della figlia, ne è, invece, talmente convinta da spingere letteralmente la figlia a danzare sulla pista, di fronte all'insegnante che aveva rifiutato di prenderla sotto di sé.
Si diceva dello stile da falso documentario su cui è impostato il film, almeno per una sua metà, perché per l'altra si è optato per un tono da commedia piuttosto fastidioso. 
Non è chiaro se l'intento fosse quello di declinare al pop la storia di Tonya Harding; fatto è che la sensazione è che si cerchi di stemperare il dramma di un'esistenza ai margini e ai limiti ricorrendo a siparietti buffi e a un tono scanzonato. 
Il fulcro della seconda metà del film, ossia le circostanze che ruotano attorno all'aggressione a Nancy Kerrigan, pur ricostruite fedelmente, vengono messe in scena come una sorta di buffa spy story alla Lupo Alberto, alzando completamente le righe e abbassando contestualmente il pathos. Sicuramente emerge la volontà di raffigurare un ritratto di Tonya che si allontani dall'immagine infamata che l'ha accompagnata per anni, successivamente all'episodio controverso del 1994, e che la riabiliti sul lato umano; lo stesso mettere in discussione la sua colpevolezza, in modo sottile e ambiguo, ne è una prova. Ma il mezzo scelto non convince. 
Così come non convince la prova di Margot Robbie, troppo bella e troppo fortunata per recitare il ruolo di un freak. La questione si potrebbe liquidare parlando di una mancanza del classico phisique du role, ma, comparando, per esempio, la prova di Charlize Theron in "Monster" (seppur aiutata dal trucco) la risposta sembrerebbe essere che l'attrice australiana difetta di quel carisma e di quel fuoco oscuro che alberga in determinate personalità. 
Pur non essendo il film totalmente incentrato sulla pattinatrice americana, trattandosi di un biopic, toppare il casting della protagonista significa condannare il film stesso. Vedendo i filmati di repertorio della vera Tonya, ci si accorge di quanto il paragone faccia sparire Margot Robbie, e l'impressione è che proprio Tonya sarebbe stata perfetta per rappresentare se stessa. 
Siccome però dicevamo che il film vive della doppia anima femminile, al contrario Allison Janney, nei panni di Lavona Harding, è eccezionale, anzi, da brividi nel tratteggiare una personalità disturbata e parossistica. Ma questo (così come la buona prova del Winter Soldier Sebastian Sten, nel ruolo del marito di Tonya looser e mediocre) non bastano ad elevare il prodotto. 
"Tonya" non vuole eccedere nel dramma e vuole parlare il linguaggio più trendy, ma, così facendo, perde di vista l'obiettivo di sfruttare quel grande potenziale che una storia del genere è in grado di dare.
Pur potendo contare su elementi positivi che ne decretano la sufficienza, viene segregato all'anonimato da quelli negativi, e difficilmente questo film verrà ricordato.

Habemus Judicium:
Bob Harris

2 commenti:

  1. io il film non l ho visto e non lo vedrò di certo,ma l episodio in questione lo vidi in diretta telesiva...due pattinatrici mediocri,la harding eseguì il triplo axel x caso,la kerrigan era scarsa...tanto rumore x nulla...

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  2. Ciao Marina. Un episodio squallido e su cui si può sorvolare da un punto di vista sportivo, è vero; da un punto di vista cinematografico c'era però una vita ai margini ed una personalità "eccezionale", elementi molto interessanti. Peccato però che nella sua costruzione il film sia stato quasi del tutto toppato.

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