lunedì 26 febbraio 2018

"I CANCELLI DEL CIELO" (1981) DI MICHEAL CIMINO

E perché vi ha fatto schifo amici americani del 1980? 
E perché quella nomination ai Razzie Awards? 
La lavorazione di "Heaven's Gate" è la la leggenda per eccellenza di Hollywood. Ancora oggi se ne parla come di uno spauracchio ed è divenuta espressione comune per definire una catastrofe produttiva. Ma quali furono le cause che portarono a tale nefasta considerazione?
Tutto, a quanto pare, ruota attorno alla personalità maniacale e ossessiva di Michael Cimino. Pare che il regista impose ciak infiniti per ogni scena, ritmi e condizioni quasi disumani, la macchinosa costruzione di scenografie e la demolizione delle stesse nel giro di una storta di naso, e un set la cui conformazione cambiava continuamente anche solo in base ad invisibili minuzie su cui si era fissato Cimino. 
Ma, se si parla di leggendaria gestazione, non basta quanto accennato. Partiamo dal fatto che Cimino era all'apice della popolarità, dopo aver sbancato, giusto pochi giorni prima, gli Oscar (5 su 8) con "Il Cacciatore". Siamo nell'epoca di quell'allineamento storico che fu la New Hollywood: produttori avidi si, ma che danno carta bianca agli  emergenti registi più talentuosi nel gestire le riprese dei film. Il ragionamento è: il film costerà tanto perché sarà girato con cura e maestria, secondo la visione di un grande autore. Ma non importa, perché il pubblico, proprio per questo, apprezzerà e accorrerà in massa al cinema.
Perciò, anche nel caso de "I Cancelli del Cielo", viene data piena libertà al regista. Solo che bisogna fare i conti con Cimino l'irriducibile. Le prime frizioni con la produzione si creano per la scelta di Isabelle Huppert: Cimino la impone a qualsiasi costo, nonostante non abbia convinto il suo provino, in cui l'attrice ha mostrato poca personalità e una conoscenza dell'inglese livello Magic English.
Il budget stabilito è inizialmente sui 4 milioni di dollari, ma per i motivi di cui sopra, lievita rapidamente a 8, poi a 20, poi a 40... In breve tocca i 44 milioni di dollari, cifra mai spesa nella produzione di un film, fino ad allora.
Il fatto è che la produzione si trova ad avere scashato già bei milioni e non può a quel punto fermare tutto, il film deve essere finito. È in ostaggio del regista. D'altro canto Cimino, tutt'altro che ammorbidito dalle pressioni esterne, ad un certo punto, anzi, chiude addirittura il set a produttori e giornalisti.
Quando le riprese terminano comincia l'incubo del montaggio: il film ha una durata di 5 ore e mezza. La produzione inizia a imporsi seriamente e Cimino, finalmente, si piega al volere dei superiori e passa mesi in sala di montaggio, fino a ridurlo a 3 ore e mezza. Bene, si arriva ad un'anteprima a New York. Il film annoia il pubblico e diviene facile bersaglio della critica statunitense. Viene sospesa la distribuzione.
Cimino va di nuovo in sala di montaggio e il risultato sono 145 minuti di pellicola.
Ridistribuito, il film diventa un flop clamoroso, stroncato da pubblico (3 milioni e mezzo di incassi) e critica americana. Bisogna dire che, invece, nel vecchio continente, si grida al capolavoro, ma, ormai, la macchina del fango ha portato a 40 milioni di perdite per la United Artists e al suo (quasi) fallimento.
Come se non bastasse, la New Hollywood termina il suo cammino esattamente qui: memori di questo disastro, d'ora in avanti i produttori metteranno un freno alle libertà creative dei registi, aumentando pressioni e ingerenze durante le riprese. Addio grandi budget al servizio dell'arte.
Infine, lo stesso Cimino rimase talmente deluso dagli eventi, che per 30 anni si addosserà le colpe del fallimento ed eviterà anche solo di pensare al suo bambino. Solo nel 2012 rivaluterà la sua opera e, finalmente, la presenterà al Festival Lumière a Lione con un montaggio effettuato secondo quella che era la sua idea originale.
Ora... Si è speculato tanto sul perché tutto sia andato così storto e alla deriva. Ma non vogliamo qui approfondire queste tesi, anche fantasiose, ma concentrarci sul film. Di sicuro due domande, dopo averlo visto, bisognerebbe farsele: come ci si può accanire contro una meraviglia del genere?
L'ambizione dell'opera risulta già dall'Incipit del film ad Harvard: ci sono campi lunghi riempiti da centinaia di comparse, scenografie certosine e maestose, e la messa in scena di un ballo, coordinata alla perfezione. Un'ellissi temporale di 20 anni sposta il film nel Wyoming.
Il protagonista è Averill (interpretato da Kris Kristofferson) maresciallo della contea di Johnson. Qui i poveri immigrati europei appena arrivati nella regione sono in conflitto con i ricchi baroni del bestiame organizzati nella Wyoming Stock Growers Association; i nuovi arrivati a volte rubano il bestiame per necessità. Nathan Champion (interpretato da Christopher Walken) è amico di Averill ed è assoldato dai baroni per vigilare sul bestiame ed uccidere i ladri. Nel corso di una riunione del consiglio, il capo dell'associazione, Frank Canton, informa i membri, tra cui Irvine (interpretato da John Hurt), dei piani di uccidere 125 coloni come ladri e anarchici.
Altro personaggio chiave è la tenutaria di un bordello, Ella (interpretata da Isabelle Huppert), oggetto dell' amore sia di Averill che di Champion. Anche lei è nella death list. Lo scontro è inesorabile.
Oltre ai nomi citati fanno parte del cast future stelle e volti noti come Jeff Bridges, Mickey Rourke, Willem Defoe (non accreditato comunque), Brad Dourif, Geoffrey Lewis e Anna Levine.
Presa di per sé la trama è racchiusa in uno scontro sanguinario e nelle sue premesse, il tutto inframezzato da un classico triangolo amoroso.
Non ci sono sussulti né colpi di scena: è un lento ed inesorabile avvicinarsi al bagno di sangue.
Isabelle Huppert si esprime in un inglese stentato e poco convinto, pur nella rigidità delle sue battute prefissate, ma la sua bellezza naturalmente esposta e il suo sguardo conturbante riescono comunque a suscitare potenti vibrazioni.
Tecnicamente parlando cosa aggiungere? 
Ogni sequenza è un pullulare di comparse, oggetti e abiti d'epoca, scenografie imponenti e paesaggi incantevoli.
Cimino a volte indugia un po' troppo su alcune sequenze (e sicuramente le parti che vedono protagonista Ella sono un po' più deboli); poi come al suo solito dà  grande spazio alle scene di ballo, qui numerose.
Ma la forza visiva di alcune sequenze colpisce ancora a distanza di 38 anni: Cimino alterna, nel riprendere, la caratteristica crudezza e minimalismo nel rappresentare la violenza, alla solennità dei campi lunghi dei paesaggi di frontiera.
In ciò è coadiuvato da una fotografia patinata, che sottolinea i cromatismi della natura negli ambienti esterni, gioca con gli effetti di luce in quelli interni, e verso la fine immerge lo spettatore in una coltre di fumo e polvere; l'immagine assurge ad una sorta di inferno in terra, coprendo e fagocitando una moltitudine di personaggi confusi nella mischia e resi indistinguibili.
"I cancelli del cielo" è un'epopea sommessa e fatalmente tragica.
Un film che, nonostante la brutalità e la primitività di alcune scene, riesce a trasmettere una grande nostalgia nello spettatore, per un'epoca che non ha mai vissuto e che si presenta così attraente.
La verità è che siamo di fronte a un'eredità di rara preziosità, una produzione mastodontica e sopraffina che, nonostante i tagli e lo stupro reiterato dei montaggi, racchiude un periodo storico in tutta la sua consistenza, grazie alla millimetrica accuratezza della sua ricostruzione: la storia non è un film in costume, non è un'opera manieristica; la storia, specie quella dell'America del melting pot, della mescolanza di etnie, di cui tanto ne vanno fieri i sostenitori dello stile di vita americano, è fatta di sangue, merda e sperma. È mossa dalla cupidigia di un uomo, dall'ambizione di un altro e dall'avidità di un altro ancora. Alla fine, a rimetterci tutto sono sempre i più deboli.
"Maledizione! Diventa pericoloso essere poveri, in questo Paese. Non ti pare?
Lo è sempre stato".
E i geni restano incompresi? 
No, non più.
So long, Michael.

Habemus Judicium:
Bob Harris

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