sabato 5 novembre 2011

RIFLESSIONI SUL D.A.SPO

Secondo alcuni sociologi gli stadi, a partire dalla fine degli anni '80, sono divenuti dei laboratori sociali, luoghi in cui sperimentare nuove forme di repressione nei confronti di quei gruppi che si pongono in chiave antagonista rispetto all'ordine dello stato (sul punto cfr. "Il derby del Bambino morto" di Valerio Marchi, ed. DeriveApprodi).
Ciò sarebbe riscontrabile nella disastrosa gestione della piazza che si verificò durante il G8 di  Genova, dove, per le manifestazioni, si inaugurò l'uso del gas Cs, un lacrimogeno già a lungo sperimentato per la gestione dell'ordine pubblico negli stadi e che alcuni studi medici indicherebbero come seriamente dannoso per polmoni, fegato e cuore. 
Questa argomentazione oggi sembrerebbe essere suffragata da un'ipotesi tornata all'ordine del giorno dell'agenda politica italiana: l'introduzione di un un D.A.Spo per le manifestazioni politiche. 
Ma andiamo a vedere cosa si cela dietro questo acronimo.
Che la colpa fosse attribuibile ai cambi generazionali nelle curve o la scelta di affidare alla Digos la gestione dell'ordine pubblico negli stadi italiani poco importava. Fatto sta che nella parte finale degli anni '80 gli equilibri nelle curve italiane mutarono e si verificò un netto aumento delle violenze all'interno degli stadi. Lo stato cercò di rispondere al problema con il D.A.Spo., una misura preventiva specifica prevista nella Legge 401/1989, che di li a poco sarebbe diventata lo strumento per eccellenza per reprimere le manifestazioni di violenza durante gli eventi sportivi (vale la pena ricordare che la normativa negli anni è stata modificata più volte il legislatore, il quale ha esteso sempre di più la sua portata ed ha optato per un inasprimento dei provvedimenti previsti in origine). 
E cosa prevede questa misura preventiva?
In parole semplici vieta al soggetto, che ha tenuto condotte pericolose e violente, di accedere a luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive per un periodo da 1 ad un massimo di 5 anni; la diffida può essere accompagnata da un ulteriore provvedimento che impone l'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia nel momento in cui la stessa si sta svolgendo.
Certamente la diffida negli anni si è dimostrato, per lo stato, uno strumento valido e semplice da utilizzare per allontanare gli indesiderabili
Ma a quale costo avviene ciò? 
La diffida viene comminata direttamente dal Questore sulla base di una semplice denuncia ed in assenza di un processo. Per l'atto di notifica in capo al Questore non sussiste l'obbligo di riportare i fatti specifici che lo hanno spinto a prendere in considerazione tale provvedimento. 
Ma c'è di più. E' inutile fare ricorsi, questi non sospendono il provvedimento. 
Un ulteriore elemento che lascia interdetti si può poi riscontrare all'interno della casistica giurisprudenziale. In numerosi casi i tifosi colpiti da diffida sono costretti a scontare per intero la loro diffida senza che il processo giunga al termine e, sempre dalla giurisprudenza, emergono non pochi casi in cui questi vengono riconosciuti innocenti dal giudice. Appare evidente, anche per chi non ha troppa dimestichezza con il diritto quanto la misura preventiva possa incidere sulla libertà personale del soggetto, e sopratutto come possa divenire uno strumento afflittivo e punitivo che anticipa e si muove indipendentemente dalla tutela data dal giudice terzo.
A questo punto giunge un ultimo quesito: il D.A.Spo. può essere considerato un valido strumento da estendere alle manifestazioni politiche?
Per chi scrive la risposta non può che essere negativa. Si rischierebbe una contrazione troppo ampia delle libertà costituzionali  e si estenderebbe ancor di più la discrezionalità decisoria di chi dovrebbe gestire solamente l'ordine pubblico; la funziona giurisdizionale si degraderebbe in modo odioso.
A suffragare questa idea ci vengono in aiuto altri corollari come la genericità e l'estensione interpretativa del testo normativo che, negli anni, ha permesso di diffidare anche coloro che non commettevano un atto da considerare violento. 
Così ad esempio sono stati colpiti da D.A.Spo. tifosi che hanno scavalcato una vetrata per spostarsi di settore (per carità, atteggiamento da sanzionare ma non in questo modo), chi ha acceso i fumogeni, oppure, cosa accaduta di recente, a chi ha alzato cori contro l'attuale Ministro degli Interni Roberto Maroni (il fautore della Tessera del tifoso). Dalla casistica emerge dell'altro. La diffida, dice la normativa, scatta per il possesso di armi improprie; beh cosa buona e giusta. Peccato che nella categoria, a causa di interpretazioni esageratamente estensive, sono state fatte rientrare oggetti come mazzi di chiavi troppo grandi, accendini ed aste di bandiere.
La diffida negli anni si è presentato come uno strumento odioso, una misura dal chiaro tenore afflittivo e capace di limitare la libertà personale in assenza di una pronuncia derivante dal giusto processo.
Alcuni potrebbero obiettare sottolineando che siamo in presenza di un'emergenza difficilmente arginabile per via giurisdizionale a causa delle lungaggini processuali. Il D.A.Spo. di piazza si presenterebbe come strumento necessario di cui non si può far a meno.
Aldilà della presenza di una vera e propria emergenza, questione piuttosto opinabile, questo discorso,  potrebbe portare a profonde distorsioni dell'ordinamento; basti pensare a ciò che accadde negli anni '70, quando in nome dell'emergenza, la custodia cautelare in carcere venne ampliata a tal punto (sino ai 12 anni nei casi limite) da divenire una chiara ed incostituzionale anticipazione della condanna.
La pecca più grande inoltre risiede nel fatto che, per risolvere problemi in seno all'ordine giudiziario, si trova una soluzione che va a scaricarsi totalmente su quei soggetti che dovrebbero ricevere la tutela giurisdizionale.
Alla luce di tutto ciò, è facilmente ipotizzabile che uno strumento siffatto porterebbe a problematiche ancor più serie se esteso al mondo delle manifestazioni politiche, dove la posta in gioco è certamente più grande.
Di questi tempi non resta che sperare l'instaurarsi di una discussione politica seria sull'argomento che porti a comprendere l'insostenibilità di questo strumento per le manifestazioni politiche, visto che già si è dimostrato tale per quelle sportive, un ritorno al  buon senso, quello sconosciuto.
Thomas

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