sabato 6 maggio 2017

PRETENDERE A TUTTI I COSTI UN "GHOST IN THE SHELL"

Cerchiamo per un momento di ricostruire il percorso di "Ghost in the shell": manga di Masamune Shirow; OAV di Mamoru Oshii; un anime diviso in due stagioni; ancora OAV di Oshii; altri OAV vari; ed ora un film in live action, di produzione americana e con la regia di Rupert Sanders.
Non ho mai letto il manga di Shirow, ahimè, pur essendo affascinato dai fumetti giapponesi a tematiche adulte, i seinen. Per il resto credo di aver visionato quasi tutti gli OAV (aggiungo di aver acquistato di recente quella trollata di versione in in DVD di "Ghost in the Shell 2.0"), visto le due serie animate e, da ieri, visto anche il film.
Cosa aggiungere rispetto a quanto detto da oltre vent'anni a questa parte? Nulla.
Perciò farò una breve considerazione per voi viandanti che leggerete con occhi vergini.
Chi ha letto il manga è sicuro che non è al livello dell' OAV, cosa che nel mondo delle trasposizioni manga-OAV è piuttosto rara. Ciò è dovuto al fatto che del progetto se ne è occupato un genio dell'animazione giapponese come Mamoru Oshii.
L'OAV è farcito di tutta una serie di considerazioni filosofiche universali, che stanno tanto a cuore alla disciplinata e spirituale tradizione giapponese.
Laddove gli americani ci vanno di pancia e poco di testa, l'arte giapponese sussurra le emozioni e inizia a macinare concetti su concetti, riflessioni su riflessioni. Laddove i primi semplificano il più possibile le trame, i secondi le complicano e le ingarbugliano all'inverosimile.
Perciò anche in "Ghost in The Shell" facciamo una fatica del demonio a capire la trama e a identificare gli schemi di un canovaccio classico. Zero cattivoni, zero intrallazzi sentimentali, poco pathos. I personaggi parlano tanto, discutono su concetti esistenziali: rapporto uomo/macchina, l'identità come un qualcosa di artificiale, l'animo come serie di processi matematici che poco ha di umano e più assimilabile ad un software.
Ovviamente si riflette sulle emozioni, sulla capacità di provarle, riprodurle, controllarle.
Infine, eleva al massimo, la teoria in base alla quale se la nostra personalità non è che il frutto di un programma, essa potrebbe fondersi nella rete con altre personalità, dando vita ad una sorta di super-io. Quante infinite applicazioni avrebbe una possibilità del genere?
Il meglio di sé comunque il film di Oshii lo dà attraverso le immagini che passano sullo schermo: la bellezza di quei 5 minuti di pausa che si prende nel bel mezzo del suo svolgimento, sono qualcosa di indescrivibile; ti passano davanti penetrando lo sguardo estasiato, fino a pervadere il cervello, il tutto accompagnato dal lirismo di cori di voci bianche tribali: evocatività livello 100. Questo per citarne una. Ma ce ne sono altre, perciò gustatevele.
Passando a questo adattamento amerigheno voglio concentrare il succo del discorso. Ora mi spiegate una cosa? Secondo voi è più limitata una persona alla quale madre natura non ha donato una mente particolarmente raffinata, oppure quel fan club di integralisti filologi delle opere originali che si scagliano, per partito preso, contro ogni tentativo di adattarle?
Vi faccio un esempio: immaginate uno chef stellato abituato a cucinare e a mangiare piatti d'alta cucina. Bene ora immaginate di portare il suddetto stellato a mangiare una pizza da Gennarino a Pozzuoli. Cazzo, la pizza non è un piatto così elaborato, ma quanto è buona? Direste mai che fa schifo solo perché viene preparata con una manciata di ingredienti?
No! Bene, gli espertoni fondamentalisti, nei panni di quello chef, schiferebbero quella pizza spaziale.
Perché intendiamoci: "Ghost in The Shell" the movie non ha l'anima del manga e non ha l'anima dell'OAV. Come già detto sopra è il classico esempio di film hollywoodiano che aggiunge patos, azione e sentimento ma toglie raffinatezza, poesia e visionarietà.
E va bene, ok, non è come l'anime bla, bla, bla...
Allora facciamo finta che, per un momento non si chiami "Ghost in the shell", poniamo si chiami Blade Run...Vabbe' dai si chiama "Fantasma nel Guscio". Ebbene è un fottutissimo film godibile, ritmato e abbastanza ben recitato (ciao mi chiamo Juliette Binoche e vi obbligo ad aggiungere abbastanza muahahah). Intrattiene e fa riflettere un pochino.
A livello visivo è orgasmico e, tutto sommato, sta cosa che si ispira a gli dà quel qualcosa in più nella trama e nelle caratterizzazioni. Perciò, fan intelligenti e non, andate a vederlo!
È così che deve essere un blockbuster di qualità. Amen.

Habemus Judicium:

Bob Harris

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