lunedì 30 ottobre 2017

"54" (2002), WU MING:

« Non c'è nessun "dopoguerra". 
Gli stolti chiamavano "pace" il semplice allontanarsi del fronte. 
Gli stolti difendevano la pace sostenendo il braccio armato del denaro. 
Oltre la prima duna gli scontri proseguivano ». 
-Incipit-                        

Una gran bella sorpresa questo "54".
Un romanzo, scritto a cinque mani, tanto ampio, ricco, dettagliato e documentato, quanto sorprendentemente coeso e fluido.
E bravi i Wu Ming, ancora una volta hanno fatto centro.
Dietro questo curioso nome, un'espressione cinese che significa anonimo, c'è un gruppo di autori di romanzi collettivi e solisti a carattere storico, come l'epocale "Q", la loro prima fatica edita nel '99 firmata con lo pseudonimo di Luther Blissett, "L'invisibile ovunque" ed il qui trattato "54".
I Wu Ming sono scrittori dediti alla sabotaggio, si calano nelle maglie della storia ed, attraverso un'incredibile miscellanea tra reale e fiction, fanno emergere prospettive mai banali con al centro chi dalle vicende ne è uscito sconfitto (1).
Fatte le dovute presentazioni passiamo a questo "54", opera edita per Einaudi nel 2002.
Raccontare la trama è un opera improba.
Si susseguono una marea di luoghi: Bologna, Dubrovnik, Palm Springs, Napoli, Mosca, Indocina, Costa Azzurra, Trieste.
E con essi così tanti personaggi che sembra quasi di ritrovarci in un film di Altman.
Salvatore Lucania, noto ai più come Lucky Luciano, lasciati gli States è tornato in Italia a fare il piccolo imprenditore; a Napoli ha aperto un negozio di lavatrici e, tra una puntata e l'altra all'ippodromo di Agnano, si diletta a gestire il traffico dell'eroina proveniente dall'estremo oriente. Al suo fianco il fidato e spietato braccio destro, Steve «Cemento» Zollo, un attento calzolaio che confeziona scarpe in calcestruzzo su misura; se si vuol sapere qualcosa in più sul suo proposito, si vada a chiedere a quella mezza dozzina che si trova sul fondo della baia di Hudson, a New York.
C'è Cary Grant, il divo di Hollywood.
Disgustato dalla violenza della caccia alle streghe inaugurata dal Maccartismo, sfugge dalla routine quotidiana lanciandosi in una bizzarra attività di spionaggio al servizio di sua maestà che lo porterà ad incontrare un uomo non poi così diverso da lui: Tito.
Incontriamo poi un certo Robespierre Capponi, per tutti Pierre, il re della filuzzi, il miglior ballerino di Bologna dotato di un frullone incredibile, amante, fratello e figlio, un po' Telemaco ed un po' Ulisse, alla ricerca di qualcosa e qualcuno.
Ed infine di tanto in tanto, nell'alternarsi delle pagine, sbuca fuori un televisore americano prodotto dalla fantomatica MacGuffin (si chieda ad Alfred Hitchcock in tal proposito), spento, mezzo vuoto e non funzionante, eppure strumento/personaggio che osserva il mondo attorno a sé e dà sviluppo, a suo modo, alla trama; il caro televisore, che tanto fa disperare i suoi possessori, è qualcosa di più di un semplice oggetto inanimato e si erge a pieno titolo a ruolo di co-protagonista.
Tre le storie principali che si intrecciano e numerose sottotrame che vengono ad innestarsi su di esse.
In ordine sparso incrociamo Alfred Hitchcock, Grace Scally, lo scontro tra le correnti Dc in Italia e quelle interne ai comunisti Jugoslavi, quel giocatore compulsivo dell'imperatore indocinese Bao Dai, spie russe, FBI, contrabbandieri, Fausto Coppi che è più quello di una volta, i tipi da Bar, buffoni di corte, gli irredentisti ed un piccione viaggiatore che, forse per merito del magnetismo, riesce ad orientarsi anche a centinaia di chilometri da casa.
Alcuni potranno rimanere spiazzati all'inizio del romanzo.
Figuriamoci lo sono rimasto io nello scrivere il lungo elenco di protagonisti/comparse nel tentativo di riuscire a dare un'idea, seppur vaga, del plot.
"54" ci lancia addosso una gragnuola di personaggi, nomi, immagini e situazioni da conoscere ed inquadrare, un mondo infinito, ignoto e caotico. Siamo dinnanzi ad un racconto funambolico in cui il caos, solo apparente, va a converge in un ordine che si raggiunge freneticamente.
I Wu Ming trovano un equilibrio eccezionale.
Danno vita ad un romanzo corale e cinematografico, capace di dar libero sfogo all'immaginazione e farci vedere i volti, le case ed i paesaggi raccontati; aprono lo sguardo su un anno, il 1954, tanto poco considerato quanto ricco di eventi fondamentali per gli sviluppi futuri del secolo breve, un impianto contenutistico in grado di sottolineare con forza la differenza che intercorre tra la realtà e la sua rappresentazione.
Significativo per i contenuti quindi, ma anche avvincente grazie a quel tourbillon di emozioni che riesce a trasmettere. Ecco "54" è uno di quei romanzi che ti fa dannare, ti mette alla prova togliendo le ore di sonno e spinge alla ricerca di ritagli di tempo via via crescenti. Ed una volta giunti all'ultima pagina, consapevoli di non poter più rincontrare i nostri, ti lascia quella (piacevole) nostalgia.
Come spesso accade dopo aver chiuso una loro opera, mi ritrovo a girovagare sul web.
Scandaglio e rovisto tutto ciò che riesco a trovare.
Il fine? Capire il confine tra storia e fiction, scoprire quanto quest'ultima sia frutto della sola inventiva o possa avere analogie e verosimiglianze con una realtà dimenticata.
C'è poco da dire, "54" incanta ed i Wu Ming si mostrano per quel che sono, il miglior fenomeno letterario italiano degli ultimi 20 anni.

«Adesso era una casa. Qualcuno aveva davvero bisogno di lui, alla buon'ora»

Habemus Judicium:


Ismail




Note:

(1) Per chi volesse approfondire e saperne di più, consiglio di andare a spulciare il loro  Blog/comunità Giap [LINK].

Nessun commento:

Posta un commento