lunedì 16 ottobre 2017

"SIGNORE E SIGNORI" (1966) DI PIETRO GERMI

« E che resti tra noi! »

I protagonisti, un gruppo di uomini, sono riuniti attorno i tavoli di un bar che dà sulla piazza principale di una cittadina veneta. Bevono caffè, leggono il giornale, fumano, e si dilettano nell'attività che più li aggrada: osservare il teatro della vita, apostrofando qua e là chi passi di lì e colga un po' la loro attenzione...toh guarda un pò là, che "vita stretta e fianchi larghi"...
Sono i protagonisti di "Signore e signori", film diretto da Pietro Germi, una delle massime espressioni della commedia all'italiana. Palma d'oro al Festival di Cannes del 1966, nonostante abbia superato il mezzo secolo è una pellicola che mantiene inalterata la sua portata.
Al centro ci sono tre storie.
Quella del Don Giovanni Toni Gasparini (Alberto Lionello) che confessa all'amico e medico Castellan (Gigi Ballista) un problema imbarazzante: l'impotenza; pettegolezzi, risate e sguardi divertiti accompagneranno ogni suo movimento.
Poi c'è Osvaldo Bisigato (Gastone Moschin), impiegato di banca che si innamora di una bella e giovane cassiera, Milena (interpretata da Virna Lisi). Peccato però che il buon Osvaldo sia già sposato con un'altra donna; ed anche i suoi amici, il meglio della società cattolica e borghese, gli voltano le spalle. Osvaldo merita solo la riprovazione sociale. 
E poi troviamo il commerciante Lino Benedetti (Franco Fabrizi) che adocchia una bellissima ragazza  "bianca come el late e dura come el marmo"; assieme al branco, approfitterà della sua disponibilità. Peccato che la giovane sia una contadina ancora minorenne e per gli smargiassi del Veneto bene la strada sembri oramai segnata: lo scandalo, il processo e l'inevitabile carcere.
Pietro Germi, anche grazie ai consigli dello scrittore Ennio Flaiano, strutturò il film come un romanzo corale evitando così quella struttura ad episodi tanto in voga in quegli anni; una scelta vincente che dà al narrato un'omogeneità ed una forza altrimenti non raggiungibile. Ed alla fine di ogni percorso narrativo i protagonisti li troviamo sempre lì, a sorseggiare il caffè al tavolino del bar, tutti che conoscono i segreti degli altri, tutti pronti a trasformarsi in predatori che danno caccia alla donna che più le aggrada.
Germi ci mostra una società isterica, immorale e putrida, che si diletta nel giudicare il prossimo, un mondo che si finge viveur ed à la page, ma irrimediabilmente chiuso in provinciali dinamiche del branco.
L'unico scopo che sembra muovere le loro povere vite è l'accoppiamento; il sesso non ha mai a che fare con l'amore, non ha alcuna forza vitale, è ridotto ad un gioco con cui sfuggire da noia o dal senso di prevaricazione sociale. E nel gioco tutto è lecito.
Si può insidiare una donna di un amico. Si può indurre alla prostituzione, con qualche piccolo regalino, una minorenne. C'è solo un altissimo e borghese limite: non fare scandalo, non abbandonare mai e poi mai il tetto coniugale, non dare fiato ai pettegolezzi.
"Signore e signori" è un'opera di satira feroce che, nonostante i suoi 50 anni suonati, inquadra molti dei vizi dell'Italia di oggi. Lo fa con un'incisività che le nostre attuali commedie non possono neanche immaginare.

Habemus Judicium:

Ismail

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