giovedì 5 ottobre 2017

"LA CURA DEL BENESSERE" (2016) DI GORE VERBINSKY

Il cinema va approcciato in un certo modo. 
Si può guardare un film in modo distratto mentre si svolgono altre attività, buttando l'occhio di tanto in tanto. 
Si può masticare un film dopo l'altro, nel bulimico tentativo di aggiungere una tacca in più alla propria collezione, un gettone di presenza da sfoggiare in una discussione. 
Ci si può concentrare per immergersi nella trama oppure guardarlo svogliatamente.
Poi ci sono quei film che ricambiano quel minino sufficiente di attenzione da parte dello spettatore con un biglietto di sola andata verso mondi immaginari meravigliosi o spaventosamente meravigliosi, prendendolo per mano e conducendolo, incantato, fino alla apoteosi conclusiva. 
"La Cura del Benessere" è uno di questi film. Il giovane broker di successo di una grossa compagnia finanziaria americana, Lockhart, viene convocato dai soci per una delicata missione: deve recarsi in una spa svizzera per riportare in America Roland Pembroke, il CEO dell'azienda, che non ha alcuna intenzione di tornare. Lockhart presto capirà che uscire dalla misteriosa clinica del dottor Volmer non è facile quanto entrarvi.
Fin da subito il film immerge lentamente lo spettatore nel profondo abisso del mistero. Dipinge i personaggi della storia riempendone di mille sfumature alcuni o, viceversa, appiattendone altri al limite della caricatura (vedi ad esempio i colleghi brokers), ed entrambe le costruzioni si rivelano azzeccate ed efficaci.
Tutto intorno si è lentamente pervasi da un'atmosfera fatata e sinistra. Questo per chiarire una volta per tutte che non sono necessari inutili espedienti tecnici pseudo innovativi (3D) per permettere allo spettatore di calarsi completamente nel film: è necessario creare la magia dell'esperienza visiva.
"La Cura del Benessere" ricrea questa magia e lo fa con una eleganza, un minimalismo e una raffinatezza formale degna della migliore tradizione cinematografica orientale. 
La bellezza di certe inquadrature, di una fotografia vivida e candida e dei paesaggi incantevoli (dalle montagne austriache allo sfarzoso castello vittoriano) provocano più di una stropicciata di occhi. Pensare che il regista sia quel Gore Verbinski dei vari "Pippati dei Caraibi", "Lone Ranger" e quello schifo di "The Mexican", fa uno strano effetto. Ma poi bisogna ricordarsi anche dell'ottimo remake di "Ringu" e allora, forse, lo si può davvero considerare regista versatile e quadrato (all'occorrenza).
Il film ruota attorno ai tre personaggi ben interpretati da Dane Dehaan, Jason Isaacs e Mia Goth (quest'ultima, già vista in "Nynphomaniac", sembra dotata di un innato un fascino magnetico da strega): lo yuppie, lo scienziato oscuro e la lolita. Attorno ad essi una miriade di caratteri notevoli, piccoli pezzi incastonati a formare un mosaico, in cui ognuno recita la sua parte prestabilita nel dipanamento dell'intreccio.
È davvero notevole come il candore e la purezza stilistica della quieta superficie del film rivestono efficacemente una rappresentazione tanto torbida e sudicia delle passioni e delle aberrazioni dell'animo umano.
Si potrebbe passare ore a discutere sui difettucci/difettoni di questo film che, certamente, non brilla per originalità di soluzioni e che non riesce fino in fondo ad accettare il peso di assurgere a capolavoro e, forse, è anche giusto non considerarlo tale. Ma nella videoteca di ogni cinefilo "La Cura del Benessere" non dovrebbe mai mancare, andrebbe, anzi, messo lì in bella vista. 
Questo è cinema dall'essenza wabi sabi.

Habemus Judicium:

Bob Harris

Nessun commento:

Posta un commento